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Accompagnare i giovani nel mondo del lavoro

Quale ruolo educativo possono svolgere la famiglia, la scuola, la parrocchia nel formare i giovani al valore della laboriosità e della responsabilità sociale? Quali scelte concrete può fare una famiglia per educare i più piccoli al lavoro? In quale modo la famiglia può essere responsabilizzata e aiutata nell’opera di orientamento dei figli alla scelta di una professione?

 

1. Ruolo fondamentale della famiglia nella formazione al lavoro fin dai primi anni di vita

L’accumulazione di conoscenze, competenze ed abilità che il processo formativo fornisce ha un impatto decisivo sulle possibilità occupazionali. Maggiori sono le opportunità educative, maggiore sarà la capacità di un giovane di presentarsi attrezzato sul mercato del lavoro. Ma non basta investire massicciamente nella scuola per rimediare al ritardo che i dati sulla condizione occupazionale dei nostri giovani evidenziano. Le abilità acquisite in una data fase influenzano sia le condizioni iniziali, che il processo di apprendimento nella fase successiva. Queste quindi hanno un ruolo cruciale nel determinare la qualità dell’esito del processo formativo. Per questo uno dei fattori principali che garantiscono un percorso scolastico “di successo”, è la qualità delle famiglie d’origine dei suoi studenti. Da qui l’importanza fondamentale del sostegno alle famiglie nel loro insostituibile ruolo formativo.

Alcune prospettive:

Curare Interventi mirati nella preparazione al matrimonio (responsabilizzazione, educazione e formazione); promuovere l’Educazione alla laboriosità e alla responsabilità sociale, a una cultura del lavoro come servizio agli altri (Il lavoro dice “chi” siamo e non solo “cosa” facciamo); valorizzare le motivazioni intrinseche in opposizione alla logica economica dell’incentivo; evitare vacanze troppo lunghe (campi vacanze-studio-lavoro); valorizzare l’alleanza scuola, famiglia, parrocchia.

 

2. Esigenza di una nuova cultura del lavoro

Una visione economica di stampo puramente capitalistico concepisce il lavoro come “merce” e il fine dell’impresa nel “profitto”. È necessario ripensare al lavoro e al mercato come luoghi di mutua assistenza e di fioritura umana.

Ciò sarà possibile attraverso la maturazione di nuovi stili di consumo orientati alla sobrietà (più beni pubblici e comuni e relazionali e meno beni privati); attraverso il rafforzamento dei processi di accompagnamento, orientamento e incontro tra domanda e offerta, agendo anche sul lato delle imprese,(progetti già diffusi e sperimentati in varie diocesi); attraverso l’attivazione di programmi efficaci di alternanza scuola-lavoro, la promozione di tirocini, di incubatori di impresa, sostenendo anche con maggiori investimenti il Progetto Policoro, ed estendendolo in modo da coinvolgere le famiglie.

Importante è essere conseguenti al fatto che non tutte le imprese sono uguali: le imprese sono civili e generative quando danno priorità alla persona e non al capitale. La forma cooperativa salvaguarda la democraticità ma deve ridurre la dipendenza dal settore pubblico.

 

3. Difficile passaggio generazionale delle competenze

Le politiche incidono ma anche la crescita professionale ha bisogno di testimoni e maestri.

Si avverte sempre maggiore il rischio di interruzione della catena di trasmissione intergenerazionale dei valori, dei saperi e dei mestieri.

La famiglia va considerata come fonte di know-why, in affiancamento al know-how. Il senso e il progetto che orienta e dirige, che tiene viva nei giovani la capacità di sognare e di progettare il loro futuro.

Emerge l’opportunità di un maggiore coinvolgimento degli imprenditori; la scelta di una solidarietà improntata alla reciprocità per evitare l’assistenzialismo che toglie dignità, la promozione di forme innovative di sostegno alla creazione di impresa, quali fondi di garanzia, programmi di microcredito, crowd-funding.

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